Fino ad alcuni decenni fa, nonostante i gravi problemi in corso, si confidava senza esitazioni in un futuro migliore del presente. Oggi, nonostante le sorprendenti conquiste della tecnologia, a cominciare dall’informatica ed in particolare dall’ Intelligenza Artificiale, la nostra civiltà è disillusa e sembra vivere in una sorta di apatìa spirituale.

Unico obiettivo sembra implementare il benessere individuale che a sua volta diviene un passepartout per vivere in una sorta di eterno presente, alla ricerca dell’eterna giovinezza e quindi, in definitiva, per esorcizzare la morte.

Nel 1897, mentre l’Europa celebrava i fasti della Belle Epoque e si apprestava a suicidarsi in un delirio di onnipotenza, a Lisieux, un angolo dimenticato della provincia francese, una ragazza di vent’anni si accingeva ad un volo più audace di quello di Ulisse. Teresa Martin aveva saputo cogliere il tempo delle piccole cose. Una breve vita, vissuta all’interno di un chiostro, apparentemente priva di elementi drammatici. Eppure la sua Storia di un’anima mostra il faticoso cammino per vivere il paradosso cristiano, per osservare il mondo da un punto di vista rovesciato che non porta alla negazione della vita, ma ne coglie nuovi e pregnanti aspetti. E’ il valore emozionale delle “piccole cose”, quelle stesse che la civiltà
dell’usa e getta, intrinsecamente disprezza.


E’ tramontato il mito del Paradiso laico, o meglio si è trasformato in un desiderio di autoaffermazione : si chiami narcisismo, egotismo, è sempre una nevrotica ricerca di sicurezza: l’attivismo esasperato. Anche questo un modo di esorcizzare la morte.
Eppure, abbandonare l’orgoglio faustiano, significa recuperare non solo l’equilibrio psicologico ma anche il senso della vita che viene negata quando è declinata continuamente al futuro (la carriera, gli investimenti finanziari); l’eterno presente che s’identifica con l’eterno futuro: un paradosso della società contemporanea.

Il nuovo Mefistofele è più scaltro e più complicato dell’antico ma non può evitare il fallimento. Il vero eroe invincibile è Francesco d’Assisi; è chi riesce a riconoscersi nei poveri del mondo. Nell’esortazione evangelica a perdere la propria vita per salvarla c’è una chiave di lettura che oltrepassa il significato più immediato (chi è un vinto agli occhi del mondo acquista la vita eterna) perché già su questa terra, chi perde la sua vita, in realtà la ritrova. Chi esce dall’alienazione dell’egotismo e del darwinismo sociale trova nella gratuità, la pienezza dell’esistenza: il valore intrinseco invece di quello di scambio.

La vita riprende il sopravvento quando reagisce al parossismo di una civiltà dissipatrice ove tutto deve essere mega e ultra, nel frastuono di un attivismo privo di anima. A Calcutta, la Città della gioia, descritta da Dominique La Pierre, era il nome del quartiere degli emarginati. Ma nel libro si apprende che l’ironico appellativo cambia di significato fino a divenire reale perché nella solidarietà concreta, quotidiana, c’è davvero gioia, che si diffonde e diviene festa, francescana letizia, quella che noi non riusciamo più a trovare.

Resta un ultimo dubbio: non è anche questa una sorta d’igiene mentale, che vuole anestetizzare la tragicità dell’esistere? Ma proprio il rovesciamento dei valori operato dal Vangelo riesce a varcare le colonne d’Ercole : significa oltrepassare i confini della vita, accogliere la caducità del presente in un atteggiamento di speranza.

Nella sera delle ombre funeste si sommano le esperienze della vita con la consapevolezza che niente viene perduto e che anche questo è un aspetto della misericordia di Dio. All’esclamazione di Faust: “Fermati, è bello”, si contrappone la simbologia del viaggio; fino alla terra dove il crepuscolo e l’alba finiscono per confondersi.